Pulizia etnica culinaria

Sorprende, ma non troppo, come nella stampa estera facciano breccia certe decisioni adottate nelle nostre amministrazioni ed in particolare quella nel comune di Lucca di vietare attività di qualsiasi cibo etnico dentro le antiche mura della città.
La sottigliezza culturale, riportata dal “Timeonline”, sta nel far notare come storicamente il pomodoro proviene dal Perù e gli spaghetti sono un dono della Cina, così alla base del piatto italiano per eccellenza ci sono dei prodotti non autoctoni.
La considerazione che non vi è alcun piatto sulla terra che non provenga dall’incontro tra prodotti, sapori, di culture che si sono mescolate nel tempo ha qualcosa di blasfemo per dei “puristi” culinari nostrani. La nuova crociata contro gli alimenti etnici e l’aver cacciato lo “straniero” kebab fuori dai centri storici, nonostante i ristoratori che lo propongono asseriscono di utilizzare solo carne italiana, per proteggere le specialità locali dalla crescente popolarità di cucine etniche arruola sostenitori tra le forze politiche come il ministro dell’Agricoltura e membro della Lega Nord, Luca Zaia, che ha detto: ” Noi siamo per la tradizione e la salvaguardia della nostra cultura” ed ha continuato dicendo che deve finire l’importazione di container carichi di carne e di pesce proveniente da chissà dove e usare solo prodotti italiani. Alla domanda se il ministro avesse mai mangiato un kebab, questi ha risposto: “No, e io sfido chiunque a dimostrare il contrario. Io preferisco i piatti del mio Veneto. Ho anche rifiutato di mangiare l’ananas”.
Il parossismo si raggiunge nelle affermazioni del consigliere comunale a Milano, Davide Boni, membro della Lega Nord che accusa i proprietari dei negozi di kebab di “concorrenza sleale” perché disposti a lavorare per più ore.
Così ai crescenti episodi di razzismo e xenofobia in Italia, si accomuna una crescente confusione culturale perché se gli obiettivi sono di proteggere i prodotti tipici da McDonald’s e ristoranti di kebab, poi si concede legittimità alla cucina francese e si rimane perplessi nei riguardi di quella siciliana, ricca di influenze arabe.

Anna Palmisano

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