Messora “un paziente italiano”

Buongiorno, sono Claudio Messora, giornalista-web, collaboratore del Fatto Quotidiano, blogger e vostro paziente ricoverato da oltre una settimana. Sembra che io abbia un disco rotto con ernia completamente espulsa e grave deficit neurologico alle stimolazioni dei riflessi del nervo sciatico che attraversa la gamba destra, del tutto addormentata.


Sono in attesa di risonanza magnetica da mercoledì 13 aprile, esame necessario al fine di stabilire la reale entità del danno e le caratteristiche di un eventuale intervento risolutore. I medici avevano fissato la risonanza per ieri pomeriggio, rinunciando ormai da giorni perfino a visitarmi a causa dell’impossibilità di assumere una qualunque decisione in assenza di un esame diagnostico dirimente, limitandosi a prendere atto che il deficit neurologico non risponde ad alcun farmaco. La gravità della compressione delle radici nervose consiglia accertamenti rapidi, in via cautelativa, al fine di scongiurare il rischio di danni permanenti, che aumenta con il persistere dei fattori scatenanti ove non vengano prontamente neutralizzati.


Con mia grande sorpresa, ieri l’esame dirimente, la risonanza magnetica attesa da una settimana, non ha avuto luogo. Nonostante l’urgenza sempre più pressante e nonostante l’appuntamento fosse stato concordato ormai da tempo, la spiegazione ufficiale, ancorchè incredibile, è quella di “un buco nel passaggio di carte”. Un inaccettabile fallimento dei processi di comunicazione interna, insomma. Senza che al momento sia stato possibile neppure fissare un appuntamento sostitutivo di emergenza, pur nell’unanime acclaramento che la situazione presenta aspetti di notevoli criticità circa l’importanza di avere una diagnosi tempestiva e certa al fine di poter decidere così la terapia più idonea sia a minimizzare il rischio di deficit permanenti, sia per allentare la terapia provvisoria a base di ingenti quantità di antiinfiammatori e antidolorifici somministrati massicciamente, la cui assunzione per tempi prolungati è notoriamente sconsigliabile a causa della tossicità degli stessi.


Alla comprensibile manifestazione del mio disappunto, per la verità caratterizzato più dallo stupore e dallo sbigottimento per un errore allo stesso tempo grave ed imbarazzante per una struttura prestigiosa come la vostra, per il quale mi sarei atteso un atteggiamento di ragionevole contrizione ed ampie rassicurazioni sulle urgenti misure che sarebbero state adottate (sempre nel supremo interesse della salute del paziente), il personale si è limitato a rispondere che l’indomani mattina (ndr: oggi) “i medici mi avrebbero spiegato”.


Tuttavia, dopo avere atteso pazientemente, in uno stato psicologicamente provato a causa della ormai lunga degenza vissuta nell’assenza quasi totale di ogni tipo di supporto psicologico, la visita del primario e dei colleghi che ormai ogni mattina (sabato e domenica esclusi) entrano in camera per uscirne dopo pochi secondi è stata improntata alla consueta fretta e alla scarsissima loquacità personale. Lungi dal sembrare informati, hanno chiesto addirittura a me se avessi poi fatto la risonanza, facendosi poi aggiornare sul momento da un’infermiera occasionalmente presente. Poi si sono rivolti al mio compagno di camera senza soddisfare alcuna mia ulteriore esigenza di ottenere informazioni, quali perlomeno un’ipotesi previsionale sulla ragionevole aspettativa di ottenere un nuovo appuntamento radiologico in tempi brevi (anche in considerazione dell’approssimarsi delle festività pasquali).


Le confesso, direttore, che ritengo il rapporto umano “medico – paziente” in taluni casi forse anche più importante del mero rapporto di dispensatore di diagnosi, e che sono rimasto conseguentemente molto deluso dall’assenza totale di ogni forma di attenzione e cura nei confronti della rassicurazione e dell’informazione di un degente, perlomeno secondo le modalità che ho avuto modo di sperimentare in questi giorni, in special modo in situazioni come quella descritta, dove il senso di smarrimento dovuto al persistere dell’inabilità e alla confusione dei ruoli (Chi è il mio dottore? Ne ho uno? Come si chiama? Perchè nessuno me lo ha mai presentato?), senza un chiaro nominativo cui fare riferimento per qualsiasi delucidazione o anche solo per avere un po’ di conforto, provoca nel paziente un comprensibile stato di ansia e di incertezza.


Vorrei pertanto avere, se possibile e per una questione di correttezza nei vostri confronti, una conversazione di natura individuale con lei, per chiarire eventuali dinamiche sia a livello medico che informativo, prima che un eventuale carenza sul piano della comunicazione e del dialogo con il paziente possano indurmi a recare involontario danno, sono sicuro immeritato, all’immagine della vostra struttura ospedaliera, alla quale mi sono affidato ritenendola di prim’ordine e nella quale voglio continuare a riporre la mia fiducia.


Certo della sua comprensione, resto in attesa di un suo gentile riscontro, informandola che in assenza di un soddisfacente rapporto di attenzione nei confronti delle perplessità che oggi colgono me, ma le quali sono certamente generalizzabili ad ogni cittadino nei suoi rapporti con la sanità pubblica al di là della mia trascurabile persona, le conclusioni cui si potrà addivenire in questa sede non potrebbero avvantaggiarsi delle vostre argomentazioni integrative e complementari.


Cordiali saluti,
Claudio Messora


 

Carmelo Sorbera