Governo: ecco il costo del “federalismo”

Il Consiglio dei Ministri n. 99 del 30 giugno 2010 ha approvato tra le 17,50 e le 18,50, sotto la presidenza del Ministro Matteoli fino alle ore 18,40 e poi sotto la presidenza del Ministro Bossi dalle 18,40 alle 18,50 la relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali, e ipotesi di definizione dei rapporti finanziari tra Stato, regioni, province autonome, enti locali, a norma dell’articolo 2, comma 6, della legge n. 42 del 2009, presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, da trasmettere alle Camere.
Nelle 201 pagine della Relazione sul federalismo fiscale abbiamo un quadro della situazione e delle prospettive, sottolineiamo a pagina 30 le affermazioni sul “costo” del federalismo:

«lI federalismo fiscale come via unica per superare le attuali anomalie.
Un errore piuttosto diffuso consiste nell’assumere che il federalismo fiscale abbia un “costo”.
In realtà è l’opposto. Il “costo” ci sarebbe infatti non riformando con il federalismo fiscale, ma all’opposto conservando l’assetto attuale. Un maggior “costo” ci sarebbe se non fossero indirizzate,
drenate, contenute le attuali dinamiche e determinanti di spesa.
Dinamiche e determinanti che, se lasciate libere ed invariate e incontrollate tanto con il voto “fiscale” espresso dai cittadini, quanto con nuovi adeguati meccanismi di stabilizzazione
finanziaria causerebbero sfondamenti sistemici.
Le “competenze” amministrative e politiche che sono state e sono la fonte dei costi messi a carico del pubblico bilancio sono già state trasferite e non se ne prevede affatto l’ulteriore incremento.
Conseguentemente, il federalismo non può costare più di quello che in sistema che c’è già  costa.
All’opposto, il federalismo fiscale è l’unico modo che abbiamo per razionalizzare e controllare in modo efficace una parte vasta della finanza pubblica italiana. Dove per controllo si intende, oltre al nuovo meccanismo di stabilizzazione finanziaria, soprattutto il controllo democratico esercitato dai cittadini sui livelli di governo che sono più prossimi alla loro vita. Il controllo esercitato nella sequenza “vedo-voto-pago”. E, se non vedo, o se vedo ciò che non va bene, allora non lo voto.
Questa è infatti la vera base della democrazia, a partire dai Municipi, nello spirito indicato da Tocqueville (La democrazia in America), dove è scritto che la democrazia inizia dalla pubblicazione del bilancio presso la casa comunale: “Nel Comune risiede la forza dei popoli liberi. Le istituzioni comunali sono per la libertà quello che le scuole primarie sono per le scienze; esse la mettono alla portata del popolo, gliene fanno gustare l’uso pacifico, e l’abituano a servirsene”. In ogni caso, non solo per scelta politica, ma anche per
espresso disposto di legge (art. 28 l. 42/2009), non ci potrà essere un decreto delegato di attuazione del federalismo fiscale che violi la regola dell’invarianza, determinando nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Non solo. Il federalismo fiscale si svilupperà in ogni caso sotto il vincolo assoluto della solidarietà, come prescritto dagli articoli 2 e 119 della Costituzione. Vincolo che sarà rispettato, tanto istituendo i relativi fondi perequativi, quanto prevedendo, nell’attuazione della riforma, un percorso temporale adeguato per evitare effetti di rottura. Va poi aggiunto che la necessità di uscita dalla situazione
attuale della finanza locale non dipende solo dalle ragioni interne esposte qui sopra, ma anche da ragioni “europee”. Infatti, il Patto di stabilità e crescita europeo, in accelerata fase di rafforzamento in Europa, prevede quanto segue: 

“… Strengthening both the preventive and corrective arms of
the Stability and Growth Pact, with sanctions attached to the
consolidation path towards the medium term objective; these
will be reviewed so as to have a coherent and progressive
system, ensuring a level playing field across Member States.
Due account will be taken of the particular situation of
Member States which are members of the euro area and
Member States’ respective obligations under the Treaties will
be fully respected”.
Ciò vuol dire che il riordino della finanza pubblica italiana è necessario anche per evitare l’irrogazione di “sanzioni” ed in particolare la perdita di “finanziamenti europei”. Perdita che sarebbe tanto più negativa per le aree più deboli del nostro Paese, che ne hanno dunque più bisogno. In questi termini è infine evidente che il rischio di divisione non viene da chi vuole fare, ma all’opposto da chi non vuole fare il federalismo fiscale».

relazione_federalismo

 

Carmelo Sorbera

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