Travaglio: “Al Senato c’è Ponzio Pilato”

“Dice il presidente del Senato, Renato Schifani, che quando viene sciolto un Comune per mafia, bisogna cacciare non solo i sindaci e i consiglieri, ma pure i ‘burocrati, che sono e rimangono collusi’. Parole coraggiose, visto che fino al 1996 Schifani era consulente urbanistico del Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia. Resta da capire se la regola vale anche per il Senato. Se deve sloggiare un burocarate ritenuto colluso dal Viminale, non dovrebbe andarsene a maggior ragione un senatore giudicato colluso da un tribunale? E’ il caso di Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Per una coincidenza, lo stesso 30 ottobre, mentre Schifani pronunciava le sacrosante parole, la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato rinviava al mittente la richiesta del gip di Palermo di autorizzare i giudici d’appello a usare una telefonata fra Dell’Utri e la sorella di un boss, Vito Roberto Palazzolo. Condannato al processo Pizza Connection (istruito da Falcone) per traffico di droga, Palazzolo vive da anni in Sudafrica, dov’ stato raggiunto da un’altra condanna in primo grado per mafia (9 anni anche a lui). La telefonata dimostra, secondo la Dda di Palermo, che “Dell’Utri accetta di incontrarsi con Palazzolo, uomo d’onore di Partinico allora latitante, tramite la sorella Sara”. E “Palazzolo afferma di sapere con certezza che Dell’Utri ha rapporti risalenti con Cosa Nostra e sa dunque cosa fare. Utilizza la frase convenzionale: “Non devi convertirlo, è già convertito”. A Cosa Nostra. Perchè Palazzolo cerca Dell’Utri? Perchè tramite lui e “il Presidente” (Berlusocni), conta di “alleggerire la sua posizione processuale e ammorbidire le richieste di rogatoria e di estradizione” pendenti a suo capo. La telefonata-clou è quella intercettata fra Dell’Utri e Sara Palazzolo (anche lei imputata per mafia) sull’utenza dela donna il 26 giugno 2003. Ma per la legge Boato, incredibilmente approvata sei giorni prima, il 20 giugno 2003, la conversazione non può essere trascritta né usata senza il permesso del Senato. Ora, qualche ingenuo potrebbe pensare che Palazzo Madama abbia dato l’ok all’utilizzo del nastro: se non c’è nulla di grave, tanto meglio, in caso contrario, Schifani potrebbe chiedere le dimisioni del senatore cge era pronto a incontrare un boss latitante. Invece no. La giunta, con la sola (e solita) eccezione del dipietrista Luigi Ligotti, ha proposto all’aula di rispedire al mittente la richiesta del gip, sostenendo che avrebbe docuto inoltrarla la Corte d’appello. Peccato che la legge Boato parli inequivocabilmente di gi (art. 6: “…il giudice per le indagini preliminari decide… e richiede l’autorizzazione delle Camere…”). Così, grazie a un cavilo, la telefonata resterà un mistero per tutti: Senato, cittadini, giudici. A meno che non giunga una vibrante protesta del presidente Schifani. Ci contiamo?”. E’ quanto scrive il giornalista Marco Travaglio sul settimanale ‘L’Espresso’, nella sua rubrica “Signornò”.

Quinews

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