Alitalia? Torni allo Stato

“Al momento non c’è nessuno disposto ad acquisire le passività di Alitalia, ne’ i debiti, ne’ il trasporto aereo”. Il ministro dell’economia Giulio Tremonti, nel corso di una audizione parlamentare sulla compagnia di bandiera, svela finalmente il bluff, ammettendo ciò che in molti andavano sostenendo da tempo. Una confessione pesante e alquanto imbarazzante, se è vero come è vero che una delle formule più elementari di uno Stato liberale è che i soldi pubblici non possono essere utilizzati per avvantaggiare privati.

Affermare, come sostiene candidamente Tremonti, che “non c’è nessuno disposto ad acquisire i debiti”, significa confessare che l’enorme passività di Alitalia ricadrà solo ed esclusivamente su tutti i contribuenti italiani. Alla faccia del coraggio, dunque.

Ora, per logica, sorge spontanea una semplice e scomoda domanda, alla quale prima o poi è giusto che qualcuno dia una risposta adeguata: se tocca agli italiani ripianare i debiti, non è meglio che di Alitalia se ne occupi in tutto e per tutto lo Stato?

Alla luce dei fallimenti di passate esperienze di cessione di altre analoghe imprese statali, che in partenza stavano senza dubbio meglio di come sta oggi la compagnia di bandiera, l’idea secondo cui solo attraverso l’ingresso dei privati, per giunta ‘sdebizzati’ dai contribuenti, Alitalia si può rilanciare non convince. Il pericolo è consegnarla, insieme a decine di migliaia di dipendenti, ancora una volta ad un futuro di speculazioni finanziarie.

La privatizzazione non è l’unica soluzione. Questa è una presa d’atto di buon senso scaturita a seguito di una valutazione della situazione, di un bilancio empirico di cosa è successo dopo la dismissione di altre precedenti imprese statali e di un attento esame di cosa avviene all’estero – Sati Uniti compresi – quando in gioco c’è il futuro di settori strategici dell’economia.

Italo Arcuri

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